di Maria Rosaria Greco
23 settembre 2015 – La foto che vediamo in copertina è un selfie, come ne scattiamo tutti quando siamo in vacanza. Sono Mahmoud e Sireen, marito e moglie, sorridenti perché stavano andando in vacanza con amici per qualche giorno in Giordania, dove purtroppo non sono mai arrivati. Sono stati arrestati entrambi il 9 settembre scorso, al ponte di Allenby. Lei è stata rilasciata dopo 4 ore e lui è ancora in carcere, ad Ofer (vicino Ramallah), accusato di aver lanciato pietre a una manifestazione alla quale Mahmoud non ha mai partecipato. Questa è la loro ultima foto insieme.
E’ una storia che si ripete spesso, quella di molte donne che vedono arrestato il proprio marito dall’esercito israeliano, senza un motivo. Sireen Khudairi è una nostra amica, un’attivista della JVS (Jordan Valley Solidarity), con lei siamo state nei villaggi di Fasayil e Al Hadidiya nella Valle del Giordano, lui si chiama Mahmoud Abujoad Frarjah, anche lui attivista della stessa organizzazione.
Il 16 settembre scorso è stato portato davanti al Giudice della Corte Militare che ha deciso il rinvio del suo caso al 20 settembre. Quando si è ripresentato davanti al giudice, Mahmoud, che da subito ha dichiarato la sua innocenza, ha appreso di dover pagare una cauzione di 8.000 shekel (circa 2000 euro) per poter essere rilasciato. Ma le unità investigative interne (shabback) hanno chiesto al giudice di trattenere Mahmoud fino al giorno successivo. Il 21 settembre, infine, a Mahmoud è stato comunicato che il suo caso veniva rinviato al 27. Queste sono le pratiche illegali che abitualmente esercita Israele nei confronti dei tanti prigionieri palestinesi. Nessun rispetto della convenzione di Ginevra, delle leggi internazionali e nessuna presunzione di innocenza. Un palestinese di fronte alla legge israeliana è innanzitutto colpevole, a suo carico è l’onere di provare la sua innocenza. Mahmoud Abujoad Frarjah, nato a Gerusalemme il 3 agosto 1986, ha già subito il carcere a 20 anni, rinchiuso in una prigione israeliana per 34 mesi. Le sue colpe? L’impegno contro l’occupazione della sua terra.
Sia Mahmoud che Sireen sono attivisti della JVS, un’organizzazione che attraverso la solidarietà internazionale vuole tutelare i diritti dei palestinesi che vivono nella Valle del Giordano, quei pochi rimasti, i quali quotidianamente vengono espropriati di tutto, della terra, dell’acqua, della libertà, dell’istruzione, della vita. Qui siamo in area C dove Israele non permette ai palestinesi di costruire, nulla, ovviamente neppure le scuole. Lo scorso 20 agosto ha distrutto con i suoi bulldozer una scuola a Khirbeit Samra, nel nord della Valle, ha demolito le quattro aule ed i materiali didattici che si trovavano dentro. La scuola era stata costruita nel 2014, con l’aiuto dei volontari internazionali della Jordan Valley Solidarity in supporto ai palestinesi locali.
Qui i bambini, secondo Israele, non hanno diritto all’istruzione, non possono neppure completare un ciclo completo di istruzione primaria. E sempre qui, intere aree vengono sottratte alla popolazione in quanto dichiarate improvvisamente “firing zone”, zone destinate all’addestramento militare e quindi espropriate. Come pure sono controllate le fonti idriche della valle per il 98%. Qui quindi l’attività della JVS è fondamentale per sostenere i palestinesi costretti a vivere in povertà e senza diritti, con il terrore di continui ordini di demolizione di case, scuole, nel silenzio assoluto della comunità internazionale.
Con Sireen abbiamo visto da vicino alcuni di questi villaggi, Fasayil e Al Hadidiya. A Fasayl abbiamo mangiato insieme la mujaddara (riso e lenticchie con cipolle soffritte, un piatto arabo medievale consumato dai poveri) e ci ha spiegato come Israele dal 1967 ad oggi, si sia impossessato di tutto: della terra, dell’acqua, di tutte le risorse. Questa valle da sempre fertile e ricca di fonti idriche oggi è desertificata. L’acqua viene dirottata nelle 37 colonie agricole illegali israeliane della valle del Giordano, nelle quali si fa agricoltura intensiva destinata all’esportazione, mentre i campi beduini, privati del diritto all’acqua, sono costretti a comprare le autobotti dalla compagnia idrica israeliana che costano più di 30 shekel al metro cubo. Le vicine colonie israeliane ricevono acqua corrente in ogni momento dell’anno 24 ore su 24 a meno di 3 shekel a metro cubo.
Al Hadidiya in particolare ha una situazione estremamente critica: il consumo medio al giorno è di 20 litri pro capite (l’Organizzazione Mondiale della Sanità indica un minimo di 100 litri pro capite), nella colonia israeliana di Ro’i costruita su terre confiscate ad Al Hadidiya, a meno di 100 metri di distanza, si utilizzano 431 litri pro capite al giorno, solo per uso domestico, senza considerare il consumo agricolo. Eppure, in questo villaggio poverissimo, fatto di tende e tank per l’acqua, con le galline che razzolavano intorno a noi, siamo state accolte con tutto il calore che si riserva a un ospite di riguardo, abbiamo bevuto caffè e tè servito per darci il benvenuto. Quanto della loro preziosa acqua quotidiana ci è stato donato con quel tè e caffè accompagnati dai loro sorrisi?
Queste sono le persone per cui si battono Sireen e suo marito Mahmoud. Questa è la dignità di un popolo che resiste all’occupazione illegale. La JVS porta nel suo brand proprio questo motto “to exist is to resist” esistere è resistere. Per questo Israele ha arrestato Mahmoud Abujoad Frarjah, perché fa paura il suo esempio, fa paura questa dignità che non si piega. “Mahmoud presto sarà libero – ci ha detto oggi Sireen – Ne sono sicura. Il fiore che rappresenta la Jordan Valley Solidarity è il cardo (Khorfishi), un fiore particolarmente resistente, spesso cresce fra le rocce, cresce nonostante tutto. E per noi è un segno di speranza”