di Maria Rosaria Greco*
Roma, 26 febbraio 2018, Nena News – “Palestina, decolonizzazione, libertà accademica” è il tema dell’incontro con cui ritorna la rassegna Femminile palestinese, quest’anno alla quinta edizione. Il 2018 inizia con la presenza dello storico israeliano Ilan Pappe (University of Exeter) e dell’antropologa italo-palestinese Ruba Salih (SOAS – School of Oriental and African Studies, University of London) il 2 marzo 2018, alle ore 10.30, presso l’Aula Vittorio Foa del DSPSC (Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione) dell’Università di Salerno. Con loro intervengono Giso Amendola, Sociologia del diritto (Università di Salerno) e Gennaro Avallone, Sociologia urbana (Università di Salerno). L’incontro è aperto a tutti.
La decolonizzazione culturale della Palestina è il focus che entrambi gli ospiti, protagonisti del panorama accademico internazionale, analizzano da anni. Ruba Salih, professore associato all’Università SOAS di Londra, è anche membro del Consiglio arabo per le scienze sociali e fondatrice del sottocomitato per la libertà accademica nella regione araba. Ilan Pappe, in Palestina e Israele: che fare? (Fazi editore), scritto a quattro mani con il linguista Noam Chomsky, riflette proprio sull’importanza di utilizzare parole come “decolonizzazione” al posto di “processo di pace”, oppure “pulizia etnica” al posto di “Nakba” per poter ribaltare significati che da sempre si inseguono nella continua confusione fra vittima e carnefice. A 70 anni dalla fondazione dello Stato di Israele e quindi dalla pulizia etnica della Palestina, iniziata nel 1948, “decolonizzazione” e “libertà accademica” sono temi centrali attorno ai quali si fonda tutta la sua ricerca e il suo lavoro che sfida, da sempre, la narrazione della storiografia ortodossa israeliana.
Decolonizzare significa non solo interrompere e smantellare il colonialismo da insediamento sul territorio, avviato nel 1948, continuato nel 1967, e ampiamente attivo oggi in Palestina, ma anche contrastare la sistematica azione che Pappe definisce di “memoricidio”, cioè la narrazione del progetto sionista nella società israeliana e nella comunità internazionale. Lo storico ne parla nei suoi libri, in particolare negli ultimi due pubblicati nel 2017: Ten myths about Israel (Dieci miti su Israele) e The biggest prison on earth: a history of the occupied territories (La più grande prigione al mondo: una storia dei territori occupati).
Nel primo, con una puntuale analisi storica, esamina le idee più contestate riguardo alle origini e all’identità di Israele. Spiega come la disinformazione storica, anche recente, promuova l’oppressione, l’ingiustizia e protegga un regime di colonizzazione. Uno dei miti affrontati, per esempio, è l’affermazione sionista secondo cui la Palestina era una terra vuota. I registri ottomani del 1878 parlano di una popolazione pari a quella odierna in Israele/Palestina di cui l’87% erano musulmani, il 10% cristiani e il 3% ebrei. E la Palestina non era un deserto, ma una fiorente società araba con una rete costiera di porti e città molto attive nei collegamenti commerciali con l’Europa, mentre le fertili pianure interne intrattenevano scambi commerciali con le regioni vicine dell’entroterra. Dunque quella “terra vuota” era parte di un ricco mondo del Mediterraneo orientale che nel XIX secolo si avviava verso processi di modernizzazione e nazionalizzazione.
Nel secondo libro, The biggest prison on earth: a history of the occupied territories Ilan Pappe invece racconta di insediamenti, posti di blocco e punizioni collettive assolutamente pianificate in quanto parte del progetto sionista di colonizzazione. Lo storico spiega con chiarezza il meccanismo creato per governare in maniera efficace milioni di palestinesi, che vivono in una prigione a cielo aperto da 50 anni. Questo libro è stato selezionato per il “Palestine Book Award 2017, e, come il primo, è stato pubblicato nel cinquantesimo anniversario della guerra del 1967, cioè a 50 anni dall’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Entrambi non sono ancora tradotti in italiano.
Soltanto un mondo accademico libero e autonomo potrà dare sostegno alla resistenza popolare dal basso che continua, senza sosta, quella resistenza civile di chi ogni giorno protesta contro il muro dell’apartheid, contro l’esproprio delle terre, di chi fa lo sciopero della fame perché prigioniero politico. I media non ne danno notizia. Spetta al mondo scientifico, della cultura, degli atenei, quindi, argomentare e instaurare un dibattito onesto in assoluta indipendenza.
Ruba Salih è a Salerno per la prima volta, ospite di “Femminile palestinese”. Il suo ultimo libro Musulmane rivelate: donne, islam, modernità (Carocci Editore) parla della condizione della donna secondo l’Islam e nei paesi arabi attraverso storie di donne e attraverso la sua lettura di un mondo, quello arabo, di cui è profonda conoscitrice. Nel libro le sue riflessioni sono un’occasione per rivedere convinzioni e pregiudizi ormai consolidati. L’antropologa italo-palestinese studia e scrive su questioni di genere e migrazione transnazionali in Europa, Medio Oriente e Nord Africa, con un focus specifico sulla Palestina e i suoi rifugiati.
In un suo precedente saggio su femminismo e islamismo afferma che “mai come ora è necessario trovare delle concettualizzazioni del femminismo che si pongano in un’ottica di superamento nei confronti di quell’approccio etnocentrico con cui molta parte del pensiero femminista occidentale ha per lungo tempo guardato ad altre esperienze di emancipazione, soprattutto nel mondo islamico” nel tentativo di “superare un’unica epistemologia femminista per avviare una nuova concezione del femminismo che sia in grado di cogliere le specificità culturali all’interno delle quali una molteplicità di movimenti femminili in diverse società avanzano richieste di diritti e di riconoscimento”.
Ilan Pappe è già stato ospite della rassegna “Femminile palestinese”, ritorna a Salerno per la terza volta. Uno dei più autorevoli storici israeliani, di sicuro stella polare per chi vuole ricomporre i tasselli di una corretta ricostruzione storica in contrasto con la storiografia ufficiale, ancora più necessaria oggi nel settantesimo anniversario della nascita dello stato israeliano, a 70 anni, cioè, dalla pulizia etnica della Palestina. Lo ha spiegato nel suo libro più famoso La pulizia etnica della Palestina” (Fazi editore), di cui ci ha parlato nel primo incontro salernitano nel 2015, che aveva lo stesso titolo. Secondo Pappe “il ruolo dello storico è quello di parlare non solo di cosa è accaduto nel passato, ma di spiegare perché il passato è importante per noi oggi nel presente” aggiungendo che “l’impegno dell’accademico nasce dal dovere morale nei confronti dell’umanità”.
Tutto il suo discorso, una sorta di lectio magistralis, è diventato poi un libro bilingue Di storia in storia – From tale to tale (edizioni Oèdipus) di cui esce in questi giorni la seconda edizione. Già in quello stesso discorso (e quindi nel libro Di storia in storia) lo storico parla anche dell’importanza del linguaggio, tema poi affrontato nel suo secondo incontro salernitano “Linguaggio, comunicazione, decolonizzazione” del 2016. Lo storico ci ricorda che è necessario superare quel linguaggio tipico di una vecchia ortodossia pacifista, in cui le espressioni più usate erano “processo di pace” o “negoziati” o ancora “conflitto israelo-palestinese”.
Ilan Pappe suggerisce di sostituire queste parole con un vocabolario nuovo che spinga verso un radicale cambiamento dell’opinione pubblica. Per esempio quanto accadde nel 1948 in Palestina non va definito semplicemente una catastrofe (Nakba), ma appunto una vera pulizia etnica, proprio per potere individuare di conseguenza una vittima e un aggressore, punto di partenza essenziale per cercare una riconciliazione. La comunità internazionale riconosce la pulizia etnica come crimine per cui, definire in questo modo preciso l’esodo forzato di circa 750.000 persone, permetterebbe una puntuale connotazione di quei fatti e Israele potrebbe rinascere da una corretta assunzione di responsabilità.
Era inevitabile dunque che Ilan Pappe fosse ospite della rassegna Femminile palestinese per una terza volta, esattamente nel settantesimo anniversario della nascita di Israele, per analizzare lo scenario attuale e approfondire il tema della libertà accademica, strumento essenziale di decolonizzazione.
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La rassegna. Femminile palestinese, quest’anno alla quinta edizione, continua l’analisi dello scenario contemporaneo in Palestina a 70 anni dalla fondazione dello stato israeliano, avvenuta nel 1948. In questa riflessione, il ruolo della donna è ancora una volta centrale per i percorsi culturali che sa attivare e per come sa ridisegnare e mettere in discussione i confini e le narrazioni dominanti. La rassegna è scandita dalla presenza di giornaliste, arabiste, registe, antropologhe, cuoche, scrittrici, artiste, musiciste, studiose della cultura e della società palestinese.
In particolare, l’edizione 2018 ha in programma la realizzazione del progetto “Comunicare la Palestina. Una narrazione diversa” in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Napoli: 15 designer della comunicazione verranno chiamati a una campagna di sensibilizzazione sulla questione palestinese, ognuno di loro quindi dovrà creare un poster che porti avanti una narrazione diversa da quella dominante. I prodotti finali saranno poi oggetto di una mostra, un catalogo e una tavola rotonda sul tema della comunicazione sociale. Il programma, poi, vede la presenza della scrittrice palestinese Adania Shibli in un incontro organizzato in collaborazione con l’Università di Napoli l’Orientale. Ancora spazio, infine, a cinema e gastronomia palestinesi con l’evento “Cinema, hummus e falafel” che prevede la proiezione di “Fra cielo e terra” di Sahera Dirbas, “Farid” di Ashraf Shakah, “The fading Valley” di Irit Gal, accompagnati da hummus e falafel. Reading, presentazioni di libri e spettacoli teatrali completeranno la programmazione.
Il progetto è promosso e sostenuto dal Centro di Produzione Teatrale Casa del Contemporaneo in partenariato con Università di Salerno, Università di Napoli l’Orientale, Fondazione Salerno Contemporanea, Accademia di Belle Arti di Napoli, Comunità palestinese Campania, Nena News Agency. Il quotidiano Il Manifesto è media partner.
*curatrice della rassegna